"Attenzione, la vera politica è propositiva, è partecipativa, si fa con le idee ma anche con le iniziative concrete. Individua le soluzioni, ma poi le deve anche mettere in pratica. Usa il cuore, ma anche la mente, l'intelligenza, la preparazione culturale"
C'è l'Italia delle promesse impossibili da mantenere, delle ingenuità, delle illusioni, delle convenienze, del malaffare; c'è l'Italia di chi non vuole o non è capace di guardare "oltre", di distinguere con chiarezza chi è sincero, umile e in buona fede, da chi è arrogante, ti guarda dall'alto verso il basso, ti umilia con una battuta, con un gesto, oppure con un sorriso per nulla spontaneo ma costruito ad arte.
E, per fortuna, c'è un'altra Italia, più numerosa, più viva, più forte dentro, più caparbia, che vuole costruire un futuro diverso, perché questa, e solo questa, è la necessità assoluta : costruire una nuova identità, un nuovo modo di essere cittadini di questo Paese, un nuovo avvenire. Ed è bello che a questa costruzione partecipino in prima persona i giovani. Potrebbe essere addirittura entusiasmante, per chi si appresta ad occupare le poltrone parlamentari, lavorare fianco a fianco con giovani, magari inesperti, magari a volte addirittura imberbi, ma carichi di voglia di fare, e costruire il "nuovo": potrebbe essere addirittura una occasione irripetibile.
In fondo, è giusto che il futuro dell'Italia lo costruisca principalmente chi dovrà poi viverlo in prima persona. Lo devo ammettere: anch'io, come molte altre persone della mia età, oramai non più giovanissime, ho guardato con un certo scetticismo il fenomeno "cinque stelle"; forse addirittura con una certa supponenza e con un certo distacco. E' il tipico atteggiamento di chi non vuole "occuparsi" seriamente delle "novità" perché ritiene di avere "altro" a cui pensare. Ma mi è bastato guardarli bene in faccia, sentire i loro discorsi, accorgermi di un certo loro imbarazzo, per capire, come in un improvviso squarcio di lucidità e ragione, che il futuro è lì, in quei visi non ancora avvezzi alle telecamere, ai discorsi complicati, alle astuzie e alle complessità della politica.
Eppure gli indizi c'erano stati tutti: non molto lontano da noi, c'erano stati i giovani del nordafrica, di cui, peraltro, avevo ampiamente scritto, che avevano fatto la rivoluzione, e poi c'erano stati i giovani dei referendum , delle piazze, i giovani dei tam tam sul web, i giovani del "se non ora, quando?!"
Colpevole miopia e colpevole negligenza!
Ma con qualche giustificazione, perché quando ad urlare e ad agitarsi nelle piazze, a lanciare strali ed invettive a destra e a manca, a fare, a volte, discorsi un po' sconclusionati, c'è un uomo che di professione fa il comico, non il politico, si è tentati di sminuire, di minimizzare, senza rendersi conto che "dietro", invisibili ma "maledettamente efficaci e persuasivi", c'erano e ci sono giovani cuori che palpitano e fremono di delusione e di ansia, di voglia di spaccare il mondo, per un futuro incerto, pieno di insidie, di "momenti che saranno sicuramente difficili": quel futuro che abbiamo "minato" noi, (i loro padri!), a causa dei nostri sfrenati egoismi, delle nostre manchevolezze.
L'occasione è allora da non perdere: per riparare in parte ai nostri errori, alle macerie (morali e materiali) che inevitabilmente lasciamo alle nostre spalle: magari con un incoraggiamento, con un consiglio sensato, con un gesto che sa di umiltà. Insieme, per un futuro migliore, degno di un grande Paese qual è l'Italia, nonostante i tentativi (e molti!) che abbiamo fatto (diciamo abbiamo...!) per affossarlo!
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E' una presa di distanza? È una correzione rispetto a quanto scritto in precedenza e riportato sul lato sinitro della pagina?
E' semplicemente la mia personale valutazione, obiettiva e lucida, rispetto a quanto emerso dopo le recenti elezioni politiche.
A meno che una "rivoluzione" non sia violenta e tale da prendere il potere da sola, in tutti gli altri casi, quando la rivoluzione si affida alle idee, ai valori, e avviene in ambito democratico, per di più all'interno di aule parlamentari, non può fare a meno di essere propositiva e partecipativa, di fare proprie idee risolutive, ma anche iniziative concrete. Di individuare soluzioni da mettere poi in pratica "guardando gli altri", non posizionandosi, anche fisicamente, sopra agli altri, con un fare che sa di provocazione e sfida, ma che è sostanzialmente sterile.
Una vera rivoluzione non può limitarsi ad una "alzata di mano", ad un "questo mi va bene e quest'altro no", ma deve dialogare con gli avversari utilizzando la forza delle proprie idee e, se possibile, convincerli che le sue sono migliori, più utili per il Paese. Deve essere capace di "guardarli" in faccia e capirne le diversità, coglierne i lati positivi e quelli negativi e, se ne è capace, anche le sfumature.
Se non è capace di fare ciò, o non ha l'intelligenza per fare ciò, perde immediatamente la sua forza innovativa e di cambiamento e diventa "banale", e questo è un grave danno per essa, per l'intera comunità, e per gli elettori che rappresenta.
Una vera rivoluzione democratica si fa "scontrandosi", se necessario, con gli avversari politici, cercando di far prevalere le proprie convinzioni rispetto a quelle degli altri.
Temo che questa "rivoluzione", che ha bisogno dell'input di un unico capo, per di più esterno rispetto al consesso parlamentare, che si deve riunire in un agriturismo ignara di quale sarà l'argomento all'ordine del giorno, che prende un pullman, come una sorta di "scampagnata" per arrivare a destinazione, non abbia la necessaria forza, la necessaria autonomia per essere veramente decisiva. A pensarci bene, è anche naturale che sia così: quando una rivoluzione viene prevalentemente dal web, quando si affida ad una unica guida che parla attraverso il web, quando sceglie i suoi rappresentanti per mezzo del web, non può avere una vera identità, dei contorni ben precisi, perché il web, per sua natura, è virtuale, non ha dimensioni e confini ben precisi, non ha legami solidi con la realtà.
E tutto ciò per l'Italia rappresenta un dramma: un lungo e logorante dramma dal quale non riesce ad uscire.
E' la solita Italia che si affida ai proclami, alle cose dette con forza ed enfasi, piuttosto che a quelle dette con pacatezza e sobrietà. E' una tipica "debolezza" italiana, forse perché l'Italia è cresciuta troppo in fretta e non ha avuto il tempo di maturare una sua ben precisa identità di pensiero, una sua autonomia decisionale.
Cambiare la rotta non sarà facile, e la situazione, intanto, diventa sempre più insostenibile. Purtroppo!
(Altro che fare ulteriore debito per pagare quanto spetta alle imprese creditrici dello Stato!)
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